COGLIAMO L’OCCASIONE!!

Locandina del CORSO DI PERCUSSIONI RITMO E SONORIZZAZIONI

La locandina del corso (clicca per scaricarla)

Voglio condividere e soprattutto divulgare un felice percorso di attività musicale e di movimento in gruppo guidato da due eccezionali “maestri” che mia figlia sta con entusiasmo ed emozione frequentando.

Si tratta di un “CORSO DI PERCUSSIONI RITMO E SONORIZZAZIONI” proposto dall’AIPD in primavera dell’anno scorso come primo “rodaggio” e con convinzione da parte di tutti ripreso questo settembre per costruire un progetto dove le competenze e le esperienza delle figure di riferimento potessero intrecciarsi con gli spunti delle diverse individualità e sensibilità dei partecipanti.

Non si tratta di una iniziativa, come purtroppo spesso avviene, per “parcheggiare” (scusate il termine, ma mi sembra renda l’idea in maniera efficace) i nostri ragazzi, ma di un’occasione reale d’incontro con il gruppo, con il ritmo, con le emozioni e con il corpo: un modo coinvolgente e piacevole per incontrare “loro stessi”.

Personalmente ritengo che anche l’ambiente dove si svolge l’attività (lo IALS: Istituto Addestramento Lavoratori dello Spettacolo www.ials.info) sia stimolante: ci sono corsi di ballo e non solo, di ogni tipo, frequentati da bambini e persone le più diverse! A volte per noi genitori “anziani” che aspettiamo circondati dalle diverse sale può risultare un po’ “cacofonico” il mix di musica classica, break dance e magari tip tap, ma in fondo non ci fa certo male!!

Attualmente le possibilità e potenzialità di tutto questo non sono “impegnate” al massimo, sarebbe bello per tutti una maggiore adesione a questo progetto e quindi invito chi fosse interessato ad approfittare di questa opportunità.

Teenagers e tecnologia: la migliore generazione di sempre

Ospitiamo un post di Fabrizio Faraco, esperto di Marketing, soprattutto digitale per affrontare un tema caldo, cioè il rapporto tra adolescenti e tecnologia. Le opinioni del presente articolo sono quelle dell’autore. Mi riprometto di commentare l’articolo per fornirvi la mia opinione al riguardo.

Sono abbastanza vecchio per sapere un sacco di cose, che nascono proprio dalla esperienza di vita. So che i giornali sono quelle cose dove si ottengono le notizie politiche e dove si cerca un lavoro. So che la musica viene acquistata nei negozi. So che se si vuole avere una conversazione con qualcuno, tu li chiami al telefono. So che le cose complicate come il software o le enciclopedie devono essere create da professionisti. Negli ultimi quindici anni, ho dovuto disimparare ognuna di queste cose, più un altro milione ancora, perché queste cose hanno smesso di essere vere.” (Clay Shirky “Here Comes Everybody”, 2008, p. 320-321)

Parliamo di teenager e social media. I teenager condividono sempre più informazioni e senza apparente attenzione a, e preoccupazione per, la loro privacy (maggiori informazioni sul fenomeno sono reperibili nello studio Teens, Social Media, and Privacy). Un tema controverso.

In un recente articolo sul tema il giornalista e blogger canadese Clive Thompson sostiene che la vita digitale degli adolescenti sia diventato il bersaglio di attacchi settimanali su tutti i media (e in ogni luogo dove ci sia un teenager e uno smartphone, cioè ovunque), e che contrariamente a ciò che sostengono molti, questi attacchi siano ingiustificati.

Attacchi sostenuti da vari intellettuali come il romanziere Jonathan Franzen, che in un recente saggio per il Guardian,  ha lamentato che la socializzazione online stia creando un pensiero unico, superficiale e banale, rendendo i bambini incapaci di socializzare faccia a faccia. O il comico americano Louis CK, che ha proclamato in tv che non avrebbe dato alle sue figlie cellulari per paura che poi non sappiano sviluppare l’empatia. C’è anche l’avvertimento apocalittico della famosa scienziata e scrittrice Susan Greenfield: «Potremmo far crescere una generazione edonista che vive solo l’emozione del momento generata al computer e in pericolo di distaccarsi da ciò che il resto di noi considera il mondo reale».

Anch’io credo, come Clive Thompson, che i fatti e più profonde considerazioni smentiscano tali preoccupazioni, al di là, ovviamente dei rischi evidenti e che comunque hanno sempre accompagnato la crescita di una nuova generazione.

La ragione principale per cui credo che le previsioni apocalittiche non si avverino, e che anzi il mondo interconnesso, fatto di socialità, eccesso di texting, di condivisione visuale e perenne connessione sia migliore, nasce dal fatto che condividere e avere relazioni è alla base della nostra esistenza anche da prima che nascesse internet. Ci sono sempre piaciute le persone simili a noi, per questo cerchiamo le persone che abbiano in comune con noi le caratteristiche che amiamo.

La ragione non risiede, quindi, nella natura digitale o nella tecnologia (anche se la tecnologia ha reso possibile l’ampliamento della dimensione comunicativa tra gli individui e con le cose), ma nella necessità del genere umano di esser connesso. Essere connessi è un bisogno primario dell’individuo, è il bisogno di appartenenza e di essere riconosciuti. Graham Brown, Antrpologo inglese autore di «The anthropology of everyday» sostiene che siamo sociali per definizione! «We are social by design». Graham Brown sostiene che non si è schiavi della tecnologia ma di ciò che la tecnologia fa per noi «Non siamo schiavi della tecnologia, ma uno dell’altro, dello stare insieme. E quando non stiamo insieme la tecnologia ci aiuta a raccontare la nostra storia». Raccontare la nostra storia, questo ha sempre fatto l’essere umano per costruire relazioni e costruire fiducia reciproca. E sempre per raccontare storie ci si è appoggiati a strumenti sociali. Sempre Brown ne elenca 7 (le 7c):

  • Caffe
  • Abiti (Clothes)
  • Cioccolato
  • Calice (Cola)
  • Fumo (Cigarette)
  • Auto (Car)
  • Cellulare

Il cibo è il re degli strumenti sociali. Pensate a quanto della nostra cultura è convogliato dal cibo. Eppure non ci sogneremmo neanche di pensare di abolirlo. Il diavolo, se vogliamo, si nasconde nell’abuso degli strumenti sociali, non negli strumenti in sé. Usiamo gli strumenti sociali per costruire la nostra identità e per raccontare la nostra storia e raccontare storie è il modo con cui creiamo relazioni e fiducia, perché per costruire una relazione dobbiamo aver costruito la fiducia. Raccontare rappresenta, quindi, il modo con cui forgiamo i significati e creiamo il contesto sociale, ovvero come ci relazioniamo con gli altri

Prendiamo ad esempio il comportamento online dei teenager più criticato: postare una propria fotografia (l’hashtag associato, #selfies, è stato il più usato del 2013). Graham Brown sostiene che siamo tutti nati col bisogno di essere connessi, e postare una foto di noi stessi altro non è che uno dei tanti modi di essere in connessione, anche quando questo può risultare inappropriato. Perché connettersi è più importante di essere appropriati, soprattutto per i teenager. Mostrare le foto di sé non è narcisismo, ma condividere un’esperienza. Di sicuro alimentano la vanita e la “prova sociale” (e ovviamente ci sono esagerazioni, come in ogni comportamento sociale), ma per troppo tempo la nostra società ci ha reso passivi, lasciando alla tv e alle agenzie pubblicitarie di raccontare di noi. E forse iniziata l’era in cui saremo noi stessi a raccontare le nostre storie. Un era che non piace ai media. L’umanità è stata sempre sospettosa delle nuove forme di espressione soprattutto se davano voce alla gente comune. Pensiamo all’impressionismo, considerato scandaloso a suo tempo solo perché descriveva persone normali fare cose normali.

Per queste motivazioni credo che i teenager non siano una generazione destinata all’atrofia delle relazioni, anzi. Credo che se vogliamo prevenire abusi e patologie dobbiamo semplicemente trovare storie in cui loro possano ritrovarcisi, perché tutto il senso dell’esperienza dei teenager è offline, ma questa generazione usa l’online per trovarlo. E questo è la sfida più grande per noi: catturare la loro attenzione.

Una sfida che stanno cercano di vincere i grandi marchi al fine di vendere prodotti ai teenager. Sfida difficile anche in questo caso perché “I teenager non acquistano in base al marchio, ma per ciò che il marchio fa per loro” (Graham Brown). “Il brand è una storia. Ma è una storia su di te, non sul brand. La nostra storia ci fa dire che «amiamo Google» o «che la Harley è il nostro amore» … ma cosa amiamo veramente? Amiamo noi stessi. Amiamo il ricordo che abbiamo di come quel marchio ci ha fatto sentire una volta. Ci piace che ci ricordi la nostra mamma, o il crescere, o il nostro primo bacio.” (Seth Godin “The brand is a story. But it’s a story about you, not about the brand”, 14 aprile 2013)

Fabrizio Faraco

Non si stropicciano le ali degli angeli

Come ho già detto, ho letto “Se ti abbraccio non aver paura” dove come genitori di figli speciali ci sono tanti momenti e situazioni nelle quali tutti ci si può riconoscere o immedesimare. Leggendo in particolare “… L’impiegata gentilissima che cura la pratica ha capito lo stato di Andrea e quando usciamo mi sussurra che è il mio angelo. Devo sentirmi fortunato perché è un regalo del cielo.” Mi sono rivista in diverse occasioni, l’ultima proprio qualche settimana fa, una signora, una nonna, molto accogliente e gentile che era piaciuta molto a mia figlia, dopo un po’ che parlavamo mi ha detto “Lei lo sa che sono degli angeli!?” Sì, lo so, ne sono consapevole e devo anche dire che malgrado quello che la gran parte delle persone può pensare, mi ritengo fortunata per questo! Io credo in Dio e penso che avere un figlio speciale sia una grande occasione su più fronti: come genitore, come persona e come credente. Quando è nata mia figlia una persona amica di famiglia, che sicuramente partecipava con affetto al momento che stavamo vivendo, mi disse: “ci dispiace, perché proprio a te?” Pur apprezzando la sua intenzione, mi sorprese questo spostare l’attenzione da lei a me e leggere la sua disabilità un po’ come un’ingiustizia che aveva colpito proprio me. Non l’ho mai vista in questo modo, soprattutto mi sembrava e mi sembra tutt’ora, spesso, che l’attenzione o il “compatimento” si riferiscano più a me che non a lei. Qui mi collego ad un’altra frase del libro, poche righe più giù della precedente: “… Sono convinti che Andrea sia una persona felice, capace di vivere dentro due dimensioni, quella terrena e un’altra che non riesco ancora a comprendere del tutto.” Io credo che sia rimasto radicato un vecchio concetto, un pregiudizio dovuto a quanto poco si conosceva ,anche in un passato non lontano, del mondo delle varie disabilità, che si può sintetizzare brutalmente in “scemo e contento”. Come se avere un ritardo intellettivo, in particolare, sia sì un gran problema, ma, al tempo stesso qualcosa che non ti fa capire la realtà e non essendo consapevole vivi felice! Felice come, altrettanto erroneamente, si pensa, o meglio, spero, si pensava, siano i bambini per il solo fatto di esserlo, come se “l’infanzia” bastasse a se stessa! Invece la cosa che più alimenta le mie preoccupazioni è proprio vedere, toccare con mano quanta “consapevolezza” abbiano, sensibilità, emotività, capacità di percepire atmosfere, disponibilità vera o meno di chi gli sta vicino! Quindi sì, sono degli angeli ma proprio per questo sono creature delicate e preziose, le loro ali sono il loro “sentire” così forte, un ipersensibilità che spesso vivono sulla loro pelle sia in senso metaforico che reale (vedi Horse Boy il libro o la fondazione). Tutto questo richiederebbe una grande cura, una grande attenzione, un grande amore e allora forse sì, le loro ali li porterebbero più facilmente verso la felicità dalla quale noi tutti verremmo “felicemente” contagiati. Ma se questo non avviene, anzi, “l’ignoranza”, la mancanza della giusta attenzione e tensione sono ciò con cui si devono misurare (scontrare), la sofferenza è ciò a cui vanno incontro!!! E questa sofferenza è responsabilità di tutti! “Tutti siamo veramente responsabili di tutti” (Giovanni Paolo II)

Grazie Mamma

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=NScs_qX2Okk]

Questo intenso video penso abbia toccato un po’ tutti e questo “grazie mamma” ci accomuna così come sono accumunate le diverse mamme del video nel dedicarsi ai propri figli nell’assolvere amorevolmente alle incombenze più semplici e quotidiane, la colazione, il bucato ecc, che giorno dopo giorno portano al compimento di un percorso, al raggiungimento di una tappa importante che vede mamme e figli gioire insieme riconoscendosi entrambi artefici di quel successo.

Mi pare proprio importante sottolineare il ruolo delle “piccole cose” del quotidiano che significano condivisione, conoscenza, empatia.

Mi fa piacere che si porga questo messaggio perché spesso le “mamme” sono un po’ banalizzate, svilite da tutta una serie di luoghi comuni.

Non so se questo fatto si possa leggere come un passaggio necessario per riuscire a “scrollarsi di dosso” ruoli e responsabilità difficili da conciliare con un ottica più “ego centrata” che oggi sembra avere la meglio, facendo perdere di vista “l’essenziale”.

Mentre rifletto su questo sono al centro dove è seguita la mia figlia “speciale”, aspetto mentre fa le sue terapie riabilitative e come me altre mamme. Mi guardo intorno, c’è chi legge, chi chiacchiera, chi è uscito per fare la spesa al supermercato vicino, atmosfera tranquilla che si rianimerà quando i nostri pargoli finiranno l’ora e i terapisti ce li “restituiranno” e i nostri occhi si illumineranno come per l’innamorato che vede la sua bella.

Tutto molto normale e a cadenza regolare.

Eppure le situazioni sono varie, alcune più “leggere” se così si può dire, altre più difficili, ma tutte noi sembriamo solo “vivere” la nostra vita con i nostri figli “speciali” con impegno, forza, dolore, entusiasmo, momenti di ribellione, di amarezza, ma anche di conquista e soddisfazioni!

Anche i nostri figli si preparano e affrontano “gare olimpiche” già da piccoli, non ci sono riflettori e applausi, ma noi sappiamo gioire insieme con ancor più entusiasmo, un sorriso ed un abbraccio dei nostri figli sono le medaglie più belle!

Allora “mamme” tutte, anche quelle in “nuce”, il lavoro di mamma è bello, grande ed importante, mai facile, spesso ingrato, ma vale le VITA.

Non bisogna avere paura ( almeno non troppa ), un figlio è un figlio in ogni caso un figlio, il regalo che la vita ti fa per capirne il senso più vero!

Postilla importante:

Non si sentano non riconosciuti i padri, parlare delle mamme non è disconoscere il valore dei papà e la loro importante presenza, non sono e non devono essere ruoli in competizione, per fortuna, sono due ruoli diversi entrambi necessari.